Screening neonatale: è ora di allungare la lista di malattie individuabili in culla
Giocare d’anticipo può fare la differenza, soprattutto quando c’è in ballo la salute. È questo il principio ispiratore della legge che ha reso obbligatorio lo screening neonatale per una serie di malattie metaboliche: il test eseguito su una goccia di sangue tra le 48 e le 72 ore di vita permette di diagnosticare alcune patologie rare potenzialmente invalidanti o mortali prima che facciano danni irreversibili. Oggi grazie a questa legge (n.167 del 2016) è già possibile diagnosticare in culla 49 patologie, dalla fibrosi cistica, all’ipotiroidismo congenito, alla fenilchetonuria. Perché fermarsi qui? Questa lista (panel, in linguaggio specialistico) potrebbe allungarsi ancora di più offrendo la possibilità a molti bambini di ricevere trattamenti o interventi precoci anche per altre malattie, tra cui patologie genetiche neuromuscolari, immunodeficienze congenite e malattie da accumulo lisosomiale. La necessità di ampliare lo screening neonatale è stata ribadita dai clinici, dalle associazioni di pazienti e da alcuni rappresentanti delle istituzioni nazionali e regionali che hanno partecipato al Convegno “Screening neonatale: dai progetti pilota all’adeguamento del panel” organizzato da Osservatorio Malattie Rare.
Si è già fatto tanto…
«Prima della legge 167 in Italia venivano ricercate solo 3 patologie, pochissime Regioni avevano un panel più ampio, nel 2012 poteva beneficiarne solo 1 neonato su 4 (il 25%). Oggi, a soli 3 anni dall’entrata in vigore della legge, la copertura è arrivata al 96,5 per cento dei neonati, un progresso enorme che consente di diagnosticare e aiutare circa 700 bimbi ogni anno», ha evidenziato nel corso del conbegno Giancarlo la Marca, presidente della Simmesn (Società Italiana Malattie Metaboliche e Screening Neonatale).
I dati del rapporto annuale della Simmesn mostrano la rapida diffusione dello screening neonatale in Italia: nel 2017, un anno dopo la legge, la copertura era già arrivata al 78,3 per cento, nel 2018 la percentuale era salita all’85 per cento per poi progredire fino all’attuale 96,5 per cento.
Oggi, in Italia viene ricercata alla nascita la presenza di 49 diverse malattie, pari al 10 per cento delle malattie rare, riuscendo così a prevenire la comparsa di disabilità fisiche e intellettive, nonché evitare la morte.
Ma si può fare di più…
Il panel delle malattie individuabili con lo screening neonatale potrebbe essere ancora più esteso. Esistono altre patologie che potrebbero essere efficacemente combattute e vinte grazie allo screening neonatale, dato che per molte è disponibile un test diagnostico e una terapia efficace.
Nella lista potrebbero rientrare per esempio le malattie neuromuscolari genetiche, le immunodeficienze congenite severe e le malattie da accumulo lisosomiale. L’ampliamento dello screening è già stato previsto da un emendamento alla Legge 167 approvato nel 2018 ma è in attesa del decreto ministeriale che lo renda effettivo.
«C’è l’assoluta volontà politica di impegnarsi per l’estensione degli screening neonatali anche per le patologie neuromuscolari genetiche, le immunodeficienze combinate severe e le malattie da accumulo lisosomiale. A breve partirà un tavolo tecnico presso il ministero della Salute per valutare nello specifico le patologie da includere nei test e per definire la presa in carico migliore in caso di esito positivo», ha dichiarato viceministro alla Salute Pierpaolo Sileri, presente fin dall’apertura del convegno.
Alcune Regioni hanno già allungato la lista delle malattie individuabili con lo screening. Ecco i progetti da prendere come esempio.
Lo screening esteso è possibile: Lazio, Toscana e Veneto insegnano
Alcune Regioni hanno adottato un “panel” più ampio mello screening neonatale attraverso leggi regionali o progetti pilota.
Toscana e Veneto hanno infatti aggiunto alla lista tradizionale 4 malattie lisosomiali ( malattie rare caratterizzate da un accumulo di metaboliti o sostanze nei lisosomi con conseguente perdita di funzionalità cellulare). Si tratta della malattia di Pompe, la malattia di Fabry, la malattia di Gaucher e la Mucopolisaccaridosi di Tipo I, e della più grave forma di immunodeficienza detta ADA Scid.
Lazio e Toscana hanno avviato un progetto sperimentale di screening per l’Atrofia Muscolare Spinale (SMA) come conseguenza dell’arrivo, o dell’avanzato stato di sviluppo, di terapie estremamente promettenti.
Lazio e Toscana: il progetto pilota per l’Atrofia Muscolare Spinale
L’Atrofia Muscolare Spinale (SMA) è una malattia genetica, neurodegenerativa che, nelle forme più gravi, ha un decorso veloce ed infausto. Recentemente si è assistito in questo ambito a una vera rivoluzione terapeutica. Alla luce di questi progressi, lo screening neonatale acquista un valore speciale: la diagnosi precoce permette di accedere a trattamenti promettenti ancora prima che emergano i primi sintomi.
Nel Lazio e un Toscana è stato avviata una sperimentazione per valutare costi e benefici dello screening per la SMA che durerà fino al raggiungimento di 140mila bambini (circa 2 anni).
«Questo progetto consente l’identificazione precoce dei pazienti e l’inizio del trattamento in fase presintomatica, massimizzando i risultati della terapia. In due mesi abbiamo già analizzato i campioni di 8.000 neonati, oltre il 90% dei genitori hanno dato il consenso e c’è già stata l’adesione del 94% dei punti nascita», ha spiegato Francesco Danilo Tiziano, dell’Istituto di Medicina Genomica dell’Università Cattolica.
Toscana: test allargato alle malattie lisosomiali
«Siamo stati tra i primi a credere nello screening neonatale metabolico esteso: nel 2004 lo avevamo già reso obbligatorio. Dal 2014 abbiamo avviato progetti sperimentali sulle lisosomiali: a seguito dei risultati queste sono state introdotte per legge (DL Regionale 909/2018) tra quelle obbligatoriamente ricercate. Prima è cominciato lo screening per la malattia di Pompe, la malattia di Fabry e la Mucopolisaccaridosi Tipo I (MPS I), e poco dopo anche per le immunodeficienze. Ora è la volta della SMA, che a brevissimo cominceremo a ricercare nei nostri neonati se pur in via sperimentale», ha spiegato Cecilia Berni, responsabile Rete Malattie Rare Toscana. Grazie all’ampliamento regionale del panel in Toscana sono stati individuati e salvati oltre 30 neonati.
Veneto: quattro malattie in più individuabili in culla
Come la Toscana anche il Veneto ha allargato lo screening a 4 malattie metaboliche: la malattia di Pompe, la Fabry, la Mps I (le stesse della Toscana) e anche alla malattia di Gaucher. «Dal 2015 ad oggi, sono stati sottoposti a questo panel allargato 150mila neonati e grazie ciò 10 bimbi hanno avuto una diagnosi tempestiva. Uno di questi, nato con la MPS I, ha potuto fare un trapianto di midollo a 6 mesi: oggi ha 2 anni ed è un bimbo perfettamente sano. Due bimbi nati con la malattia di Pompe hanno cominciato la terapia nella prima settimana di vita, evitando una morte che, in assenza di screening, sarebbe arrivata precocemente», ha raccontato Alberto Burlina, Direttore U.O.C. Malattie Metaboliche Ereditarie presso l’Azienda Ospedaliera Universitaria di Padova.
Il panel del futuro sarà sempre più ampio
Terapie geniche promettenti in avanzata fase di sperimentazione lasciano intravedere nuove speranze di cura per molte malattie rare. Alcune di queste potrebbero essere individuate alla nascita con la stessa procedura utilizzata oggi per lo screening neonatale obbligatorio. Tutto lascia pensare quindi che la lista delle patologie individuabili nelle prime ore di vita si allungherà sempre più. Già pronte a entrare nel nuovo panel sono le emoglobinopatie, malattie genetiche caratterizzate da anomalie nella sintesi dell’emoglobina (talassemia, anemia falciforme). Alcuni progetti pilota sono già stati sperimentati in Friuli e in Veneto. Nel 2012 in Friuli Venezia Giulia, a seguito di diversi casi di urgenza, era stato avviato un programma di screening sui nuovi nati considerati “a rischio”, cioè figli di almeno un genitore proveniente da Paesi ad elevata prevalenza di emoglobinopatie. Grazie a questo progetto erano stati identificati in poco tempo 67 neonati positivi per emoglobinopatie. La sperimentazione, poi conclusa, è stata di ispirazione per il vicino Veneto che ha introdotto nel piano sanitario regionale del prossimo quinquennio lo screening delle emoglobinopatie.
Altre potenziali “new entry” nella lista delle malattie da diagnosticare alla nascita sono la adrenoleucodistrofia legata all’X (X-Ald) e la leucodistrofia metacromatica (Mld), due malattie per le quali in tempi brevi dovrebbero essere a disposizione terapie geniche risolutive. Le prime sperimentazioni dovrebbero partire in Toscana e all’Istituto San Raffale di Milano. La leucodistrofia metacromatica (MLD) è una grave patologia neurodegenerativa, rara e progressiva, appartenente al gruppo delle malattie da accumulo lisosomiale che provoca danni al sistema nervoso e motorio. L’adrenoleucodistrofia legata all’X (X-ALD) è una grave malattia genetica degenerativa che colpisce il sistema nervoso e alcune ghiandole endocrine, soprattutto quelle surrenali.
Superare le differenze regionali
Le iniziative delle singole Regioni sono state ben accolte dalle associazioni di pazienti che in molti casi sono state protagoniste del cambiamento.
Oggi però sono nuovamente in prima linea per chiedere che questa opportunità venga estesa a tutti i bimbi, senza differenze regionali.
Prima si riconosce la malattia, prima si può intervenire. E il principio vale per tutte le 49 malattie già inserite nello screening, ma anche per molte altre che ancora non fanno parte della lista, come malattie lisosomiali, immunodeficienze primitive, atrofia muscolare spinale.
«La terapia somministrata in fase presintomatica cambia la storia naturale della malattia. Tutti i pazienti inclusi nel trial risultano sopravvissuti a un’età media di 34,8 mesi e hanno acquisito la capacità di sedersi autonomamente (capacità non prevista nella storia naturale delle forme più gravi). L’88 per cento di loro riesce addirittura a camminare senza aver bisogno di assistenza. E’ dunque evidente che lo screening neonatale per la SMA è una svolta storica: la diagnosi non sarà più una condanna ma un salvavita», ha spiegato Daniela Lauro, presidente dell’Associazione Famiglie Sma.
Lo stesso vale per l’adrenoleucodistrofia. «Solo una diagnosi precoce consente di intervenire nella cosiddetta finestra presintomatica, prima che l’Adrenoleucodistrofia agisca subdolamente e crei danni irreversibili al sistema nervoso centrale. Occorre salvare questi bambini dalla condanna a una non-vita che coinvolge non solo loro, ma anche le famiglie ed i caregiver, devastati a livello fisico, psico-emotivo ed economico. Esiste già un test affidabile, esiste una cura rappresentata dalla terapia genica, e un mondo medico e scientifico pronto a rispondere all’appello di creare linee guida affidabili e condivise», ha dichiarato Valentina Fasano, presidente dell’Associazione Italiana Adrenoleucodistrofia (AIALD).
Fonte Healthdesk
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