Comunicare la diagnosi di una malattia rara

Quando Fondazione IARD elaborò i dati statistici della ricerca fatta su oltre 400 genitori con un figlio affetto da atrofia muscolare spinale (SMA) si evidenziò l’importanza umana e relazionale del momento “critico” per eccellenza nella storia delle famiglie: la comunicazione della diagnosi (Pocaterra e coll., 2006).

Secondo Meo (2000), il momento della diagnosi è un evento spiazzante o stressante che richiede un percorso di cambiamento e di adattamento: i desideri e le aspettative progettate o immaginate devono essere rimodellate sulla base delle nuove e inaspettate esigenze. Un nuovo equilibrio deve essere trovato, i ruoli devono essere strategicamente reinventati, nuovi modelli culturali e nuovi criteri di orientamento devono essere adottati. Un vero e proprio tzunami come ancora Pocaterra scrive nel suo “oltre il naufragio” (2007) riportando le parole sincere di una delle mamme intervistate: “dico sempre che sono scesa all’inferno e poi sono risalita perché sapevo che mia figlia doveva morire e volevo morire anch’io…”

Come comunicare la diagnosi in modo appropriato è un tema dibattuto a livello mondiale dato che si tratta di un momento fondamentale per l’elaborazione del lutto connesso alla patologia e per l’investimento connesso al futuro. Una comunicazione concreta, chiara, rispettosa, discreta, empatica e co-costruita con la famiglia è un primo mattone di quella nuova casa che dovrà essere predisposta per fronteggiare la malattia.  Questi presupposti sono ovviamente validi per ogni grave patologia, sia che essa colpisca un adulto, sia, come nel caso della SMA, un bambino.

Il tema è sentito “critico” anche dai medici: “il momento in cui il medico trasmette la diagnosi di malattia neuromuscolare alla famiglia o allo stesso paziente (se adulto) è sicuramente tra i più difficili e penosi che egli viva nel suo lavoro clinico, specialmente quando si tratta di malattie serie e ad evoluzione sfavorevole” (Lanzi, 1997).

Purtroppo non sempre i medici sono preparati e supportati in modo adeguato per gestire la situazione. Ricordo ancora le parole di un neuropsichiatra infantile riferite alla comunicazione diagnostica: “ad alcuni non è stato insegnato: la diagnosi te la buttano in faccia come se fosse uno straccio… altri non hanno tempo, altri ancora non sanno proprio come fare, non conoscono la malattia, che è rara, e si barcamenano…”

Diverse variabili concorrono a lasciare il professionista “solo” di fronte ad una comunicazione di questo tipo: la mancanza di tecniche specifiche di comunicazione assertiva, la paura di ferire, il timore di non essere compreso, la scarsa conoscenza della patologia oggetto di comunicazione, la mancanza di un supporto psicologico, l’assenza di tempo e di un luogo adeguato etc.

L’effetto sulle famiglie è devastante. Lo sarebbe in un certo qual modo lo stesso: si tratta pur sempre di una notizia molto brutta, ma una comunicazione poco appropriata rende la situazione ancora più insopportabile, uccide ogni speranza, spegne la volontà di attivarsi, fa crollare ogni punto fermo isolando le persone nel proprio dolore: “me lo ha detto così in corridoio, guardi morirà fra qualche anno, ma io non conosco la patologia, so che è rara e poco altro… mi ha detto così e aveva gli occhi lucidi. Io mi sono arrabbiata: può anche piangere ma poi il figlio è il mio e sono io che devo tornare a casa e comunicare questa notizia orribile a mio marito… ma come potevo fare? Non volevo neppure tornaci a casa quella sera!” (una mamma) .

Spesso il medico diventa il bersaglio ideale (e a volte in modo anche appropriato) di una rabbia rivolta alla situazione che non potrebbe essere altrimenti sfogata, diventa il capro espiatorio, rompendo la fiducia e la collaborazione invece necessaria per fronteggiare la situazione e costruire l’alleanza terapeutica.

Per questo motivo, facendo riferimento alle richieste delle famiglie e dei medici che lavorano nell’ambito delle patologie rare e della comunicazione diagnostica, l’associazione Famiglie SMA APS ETS crea e modera dei corsi ad hoc, dedicati al tema, dove i professionisti possono confrontarsi con il vissuto delle famiglie ed essere supportati nella costruzione di una comunicazione efficace, nei termini già elencati, che permetta loro di svolgere il proprio lavoro in modo più sereno ed efficace e che li supporti nel gestire in modo professionale e utile le potenti emozioni messe in gioco dall’evento.

 

 

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